Un paio di mesi fa ho rivisto per l’ennesima volta il film Edge of Tomorrow. Non ho mai chiarito del tutto da dove arrivi il fascino che esercita su di me. Sarà la fantascienza bellica, il design degli esoscheletri militari, saranno gli alieni “tecno-organici”, versione metallica di un tentacolare incubo lovecraftiano. Oppure sarà Emily Blunt o la natura da “librogame” del film, che mi spinge a tornare dall’inizio e ricominciarlo.
Cercando qualche informazione, che prolunghi il godimento e smorzi il post visione, ho scoperto due cose. La prima, che ha abbastanza dell’incredibile se conoscete la storia, è l’aver messo in cantiere il sequel. Sembra ci sia già uno script ma devono sincronizzare gli impegni degli attori principali, la Blunt e Tom Cruise, per averli di nuovo assieme sul set.
La seconda è che il film è tratto da All You Need Is Kill, una light novel di Hiroshi Sakurazaka, dove con quel termine si intende una forma di romanzo giapponese (ライトノベル) affine ai manga, che mescola prosa e immagini.
All You Need is Tomorrow
La terra è invasa da creature aliene chiamate Mimic, la cui avanzata sembra inarrestabile. Un soldato ucciso sul campo di battaglia si risveglia il giorno precedente all’assalto, costretto in un loop temporale che termina costantemente con la sua morte.
All You Need Is Kill e Edge of Tomorrow, libro/manga e film, fanno parte di quella schiera di storie dove il protagonista si ritrova costretto suo malgrado a rivivere all’infinito uno o più giorni della propria vita. Se avete visto Ricomincio da capo (Groundhog day, 1993) o il più recente Auguri per la tua morte (Happy Death Day, 2017) sapete bene di cosa sto parlando.
La natura della storia si svela fin dalle prime pagine di All You Need Is Kill, il romanzo, dove si trova il grafo del libro: una sorta di indice non lineare che rappresenta lo svolgersi degli eventi con l’indicazione dei capitoli esterni e interni al time-loop.

Edge of the true path
In altri siti ho trovato un confronto tra le due versioni della storia. A un minimo nucleo in comune (la guerra con i Mimic e il time-loop ) si contrappongono personaggi, ambientazione, alieni e soprattutto il finale, i quali non potrebbero essere più diversi.
Ma non siamo qua per questo, bensì per parlare di true path. Per spiegare il true path dovremo parlare di libri gioco, e per arrivare a quelli partirò dai videogame.

Hiroshi Sakurazaka ha raccontato che l’idea per la storia gli è venuta parlando con un videogiocatore, analizzando l’esperienza ripetitiva necessaria ad avanzare verso il livello successivo, non dal punto di vista del giocatore ma da quello del personaggio giocato.
My book was inspired by an online account written by a video-game player. I read such comments as, “I messed up and my character died. Damn it! I’ll do better next time.” I thought about writing a story based not on the idea of a person playing a video game but on a hero being played over and over in a game.
È un concetto ben noto a chiunque abbia un’esperienza anche minima nel mondo dei videogame. Che si tratti di uno shoot’em up come il vecchio R-Type o un moderno FPS, il meccanismo di base non cambia. I livelli, i nemici e il loro comportamento si ripetono a ogni partita. Più difficile diventa il gioco più è probabile che toccherà ripeterne delle parti per un numero elevato di volte (inversamente proporzionale alla nostra abilità). Affinati i sensi, aumentata la destrezza ma soprattutto definito e memorizzato il proprio “percorso ottimale”, il giocatore vince, supera il livello e parte con il successivo. Se avete mai provato i vecchi “laser game” come il celebre Dragon’s Lair sapete qual è il punto estremo di questa esperienza, il caso in cui ci sia un unico modo per proseguire, un’unica sequenza di gesti compiuti in una ben precisa temporizzazione.
Esulano da questo ragionamento i titoli generati proceduralmente, come i roguelike dei quali abbiamo spesso parlato da queste parti. In quei videogame le mappe dei livelli, i nemici e i loot cambiano a ogni partita ed è impossibile fare affidamento sulla ricerca di un percorso ottimale. Entra in gioco la capacità di adattarsi e di sfruttare i pochi elementi costanti.
Tornando ai videogame non procedurali, una sequenza fissa che porta alla conquista di un certo obiettivo è qualcosa di onnipresente. All’interno della narrativa interattiva, nel rutilante mondo dei libri-gioco e dei librogame, è stata battezzata true path (illustrato nel dettaglio nel manuale di Mauro Longo, Scrivi la Tua Avventura). È un tipo di struttura ricorrente nei librogame vintage, soprattutto a opera di alcuni autori come Ian Livingstone nella serie Fighting Fantasy, ma non molto apprezzata dai lettori.

Chi gioca chi?
In All You Need Is Kill il protagonista Keiji Kiriya impara a sue spese che anche piccole variazioni comportamentali possono alterare la sequenza di eventi del loop. Evitare i cambiamenti significa poter ripetere le parti che hanno una qualche utilità, per migliorare le capacità sul campo di battaglia. Il suo è un true path “strettissimo”. Nonostante a ogni risveglio sia fisicamente identico al sé della prima iterazione, mantiene l’esperienza acquisita e ha una maggiore abilità psicofisica nell’uso delle armi e dell’esoscheletro da combattimento. Basta il ricordo dell’allenamento per mantenere le conseguenze sul piano fisico? Se ne potrebbe discutere con qualche esperto di neuroscienze.
È così che l’autore trasporta l’effetto di potenziamento/miglioramento dal giocatore (il risultato delle molteplici ripetizioni aumenta i riflessi e la capacità di uso dello “strumento bellico”, il joypad o altro dispositivo di gioco) al personaggio. Nei videogame e nei libri gioco il fallimento porta a dover ricominciare (il livello, la zona, il libro) senza che il personaggio abbia acquisito alcun bonus (nei casi più punitivi ci rimette, vedi la saga dei Dark Souls).
L’estremo del loop
Un videogame dove viene sfruttato lo stesso concetto è il primo Life Is Strange. Il giocatore viene posto davanti a delle scelte con varie opzioni disponibili, ognuna delle quali porta a ottenere nuove conoscenze. In questo caso il loop, la ripetizione della scena, è un potere a disposizione della protagonista Maxine che può “riavvolgere il tempo” senza dover morire. Acquisita l’esperienza del fallimento si torna al punto nodale dove il gioco proporrà opzioni diverse, basate sulle nuove informazioni.
In Edge of Tomorrow, film o libro, la ricerca del true path attraverso la capacità di “resettare il tempo” viene sfruttata inizialmente dai Mimic per vincere la guerra. È una capacità della quale gli umani non hanno coscienza.
In All you need is kill il discorso è portato a un livello ulteriore: dopo un certo numero di iterazioni da parte dei protagonisti i Mimic si rendono conto che gli umani stanno imparando attraverso la loro stessa tecnica. E cercano di impedirglielo, cambiando inaspettatamente approccio, generando un nuovo loop del quale gli avversari non hanno esperienza.
Come se il gioco si adattasse alle capacità del giocatore, intuendone le preferenze, imparando a mutare nel tentativo di non farlo mai vincere.