Recentemente è stato chiuso con successo il Kickstarter per il settimo volume di una collana che non è mai stata tradotta in Italia, ma conosciuta e apprezzata da molti fan dei libri interattivi. Lontana dalle saghe con trame lineari e volumi autoconclusivi, Fabled Lands è la versione cartacea e “a bivi” di quei videogiochi che oggi chiamiamo “free roaming” o “open world”, che danno al giocatore la possibilità di muoversi senza (troppi) vincoli in un mondo vasto e pieno di possibilità. Ma nei FL si è andati oltre, realizzando su carta un altro concetto che viene dal mondo videoludico, cioè il sandbox, nel quale viene a mancare uno dei capisaldi del genere giocoruolistico, quella “quest” attorno alla quale ruota tutta l’avventura. Nei librigame l’uso di questo tipo di ambientazione è rarissimo, e tra i titoli recenti c’è il ciclopico ciclo di Destiny Quest, dello scrittore Michael J. Ward. Ma solo nei FL non c’è nessuna “super quest”, nessun mondo da salvare o “oscuro signore” da sconfiggere. Il concetto di successo in questa saga è nelle mani dello stesso giocatore. Possiamo appoggiare il vecchio sovrano o preferirgli l’usurpatore oppure andarcene a navigare i mari più pericolosi e lasciarli alle loro lotte di potere. Ricchezza, conoscenza, gloria, l’esplorazione di ogni angolo del mondo conosciuto. Tutto è possibile.
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Sulla vetta della Firetop Mountain
The Warlock of Firetop Mountain venne pubblicato per la prima volta ben 30 anni fa, nel 1982. E’ considerato uno dei primi libro game così come li conosciamo ora, quei libri “a bivi” che hanno avuto un enorme successo negli anni ’80 e stanno vivendo una sorta di nuova giovinezza grazie soprattutto ad applicazioni per smartphone e tablet. In realtà sappiamo come ci siano stati dei precedenti illustri ma molto meno noti al pubblico (tra tanti, Esame dell’opera di Herbert Quain o Il giardino dei sentieri che si biforcano di Borges, le opere del collettivo Ouvroir de Littérature Potentielle, Tante storie per giocare di Rodari).
La versione in mio possesso del libro, che vedete in foto, è quella del 25° anniversario, corredata da tutta una serie di “add on” per dirla con il giovin linguaggio dei videogame, che sono fonte inestimabile di piccoli aneddoti su come siano nati certi fenomeni letterari (almeno nella “nicchia” di chi si appassiona(va) a questo tipo di intrattenimento), un completo making of dell’opera che meriterebbe un capitolo nella rubrica – ferma da un po’ – The Art Of, su questo blog.
TWoFM nasce con il molto meno esaltante titolo di The Magic Quest dall’idea iniziale di un manuale per giochi di ruolo, scaturita nel 1980 da un incontro di due giovani autori, Steve Jackson e Ian Livingstone, con l’editore Penguin Books.
Per inciso, questo Steve Jackson è inglese, e non va confuso con il suo omonimo americano, game designer e autore di innumerevoli giochi tra i quali il sempre amatissimo Munchkin. Questo duetto di personaggi è invece addietro a successi come la collana Fighting Fantasy, della quale TWoFM è il primo volume, e quella “piccola azienda”, la Games Workshop, che produce ad esempio lo storico wargame Warhammer.
Nel decidere cosa sottoporre, i due si confrontano e nasce una nuova ipotesi, quella di un libri giocabile in solitaria, un’avventura dove le scelte del giocatore possano influenzare lo sviluppo della storia. Nel 1981 una prima versione di The Magic Quest è sottoposta all’editore che fa macerare i due autori nel dubbio per lungo tempo. Sarà solo nell’agosto dello stesso anno, mentre il loro lavoro con The Games Workshop si mangia una fetta sempre più grossa del loro tempo libero, che la Penguin accetta e impone un tempo limite di 6 mesi per consegnare l’opera completa.
E’ questo limite di tempo a imporre la decisione di scrivere ognuno una parte diversa del libro, dividendo la mappa di gioco a metà. Steve si occupa del labirinto a nord che contiene la conclusione del libro, Ian delle gallerie a sud, dalle quali la storia inizia. Punto d’incontro un fiume sotterraneo che scorre proprio a metà della mappa, guarda te il caso.
La scelta, felice per quanto riguarda i tempi di scrittura, obbligherà a ricorrere in seguitoi a un grosso lavoro di editing, dovuto al fatto che i due non avevano concordato fino in fondo alcuni dettagli su nomenclatura e regole.
Nel mentre, ai due fu chiesto di scegliere il titolo definitivo, fortunatamente cambiato in quel The Warlock of Firetop Mountain ispirato ai ben più conosciuti The Lord of The Rings e Dungeons & Dragons. La Penguin Books, con una mossa di quelle geniali, chiese anche un “brand”, un nome sotto il quale far cadere eventuali altre storie, che fosse ben riconoscibile dai lettori. Fu Ian a optare per quel bellissimo Fighting Fantasy che sintetizza in due sole parole i fondamenti di quelle storie: combattimenti e fantasia.
Anche il sistema di confronto con le creature mostruose che abitano la montagna del mago, venne più volte rivisto, partendo da una versione più simile a quella di un gioco di ruolo e incontrando la visione di Steve, che voleva che protagonista e avversario colpissero contemporaneamente, a quella di Ian che invece voleva uno sviluppo a turni.
Fu grazie all’abilità del direttore editoriale, Philippa Dickinson, che questi nodi vennero sciolti in maniera elegante ed equilibrata. Nel making of del libro sono annotate molte delle variazioni che Philippa impose, suggerimenti che mostrano, se mai ce ne fosse davvero bisogno, quanto può essere vitale l’apporto di un buon editor al successo di un testo.
Dopo un’ultima riscrittura da parte di Steve, per eliminare gli ultimi difetti di disomogeneità, The Warlock of Firetop Mountain fu dato alle stampe e, nonostante i dubbi iniziali della Penguin, vide la bellezza di cinque ristampe nei primi quattro mesi.
Era nato il fenomeno Fighting Fantasy, ancora vivo e vegeto dopo 30 anni, tra innumerevoli ristampe dei 59 volumi della Penguin, quelli pubblicati della Wizard Books tra cui la serie dedicata al gioco di ruolo, Advanced Fighting Fantasy, videogame e altro ancora.
E dopo questo lungo escursus dedicato alla nascita del famoso libro game, torniamo alla sua lettura. Affrontare libri interattivi a quarant’anni è un’esperienza molto diversa, banalità, di quella originale, che nel mio caso è una lunghissima estate del 1984, passata tra le prime gare di canottaggio e La città dei misteri, Kharé. Il che la dice lunga sulla dicotomia che da sempre impera nella vita del sottoscritto. Per motivi ormai dimenticati mi venne regalato il secondo volume della serie Sortilegio, scritto proprio da quel Steve Jackson di cui abbiamo parlato fino a ora. Sul blog non ho mai scritto dei quattro volumi che compongono questa amatissima serie, Sorcery in originale, composta dai migliori libri game mai letti. Personaggi bizzarri e paesaggi decadenti, una bellezza fatata intrisa di una venatura malsana, una combinazione unica del meraviglioso e dell’orrido, del bene e del male, segno delle capacità ineguagliate di Steve Jackson e alle illustrazioni di un John Blanche in grandissima forma.
The Warlock of Firetop Mountain contiene senza alcun dubbio i semi di queste abilità, e questi hanno reso la sua lettura molto più fluida e piacevole del previsto. C’è quella semplicità, la linearità che solo un testo vecchio di 30 anni può avere, senza farne un difetto.
Per inciso nel seguito mi riferirò all’edizione del 25° anniversario, che so contenere alcune piccole differenze con l’originale, ad esempio una introduzione più eroica, come sottolineato dall’esperto Mauro Longo nell’articolo The Warlock of Firetop Mountain – Un’introduzione alternativa.
Quando iniziamo la lettura sappiamo di essere lì per
1. esplorare un sotterraneo
2. uccidere i mostri
3. arraffare il tesoro
semplice ed efficace.
Al giorno d’oggi questa è praticamente la tagline di Munchkin, il cui primo obiettivo è proprio riprendere ironicamente i cliché del genere. Ma negli anni ’80 quei cliché dovevano ancora diventare storia.
La prima parte del libro, quella scritta da Livingstone, permette di fare la conoscenza con alcune delle creature che abitano la tana del Warlock, ed è piuttosto lineare nella struttura. All’inizio della storia, un fortunato incontro con un vecchio che sta spingendo un carretto a mano stracolmo di roba ci condurrà al villaggio di Anvil dove ci verranno dispensati moltissimi consigli su come affrontare ciò che vive sotto la montagna e su certe chiavi che aprirebbero la porta per la tana del Warlock.
Superata la prima parte, giunti al fiume sotterraneo, ci si inoltra nella “zona Steve Jackson”, un dedalo di corridoi che nascondono porte segrete, magici teletrasporti e incontri con pericolose creature come vampiri, zombie, minotauri e goblin.
Per sopravvivere all’avventura e impadronirsi del tesoro sarà quindi necessaria quell’abilità dimenticata, uccisa dai vari automapping dei giochi di ruolo elettronici, che è il disegnare.
Lo so, già ci vogliono i dadi, e la matita, e la gomma. E tocca pure mappare i corridoi, altrimenti tanto vale buttare il libro nel caminetto e usarlo per scaldarsi la notte di Natale.
Il dedalo non è complicatissimo, ma la descrizione dei corridoi del dungeon è sempre piuttosto scarna, mancante di quei segni che permeteterebbero di capire dove siamo finiti.
Mi ci sono voluti come dicevo due giorni, 3 fogli A4 e un bel po’ di pazienza, ma alla fine Zagor, il Warlock, è morto e il tesoro è stato mio (assieme all’inquietante e subdola proposta di diventare il nuovo mago sotto la montagna).
Una lettura divertente, una vittoria che lascia più soddisfazione di molti giochi moderni, un’avventura davvero pen&paper che, combinata alle ore tranquille del Natale, mi ha riportato a tempi diversi, quando la meraviglia era una sensazione intensa, ed era molto più facile da trovare.
Link utili:
- il sito ufficiale di Figting Fantasy
- gli articoli di Mauro Longo su Fighting Fantasy
- il sito italiano per appassionati di libri game, Librogame’s Land
Zagor, il warlock sotto la montagna